lunedì 30 gennaio 2012

Lezione 5 - Le regole redazionali

Dunque, dopo immenso ritardo dovuto a fatti personali che non ho né la voglia né l'intenzione di raccontarvi (eheh, ovviamente scherzo), finalmente ho il tempo di aggiornare il blog con la lezione promessa tempo fa a proposito delle regole redazionali.
Innanzitutto, cosa si intende con regole redazionali? Ebbene, si intende tutto ciò che, anche graficamente e non solo grammaticalmente, si può o non si può scrivere. Ma andiamo per ordine: iniziamo con la grammatica. Ecco un piccolo elenco che può aiutare a ricordarsi come scrivere certe parole:

  • Sulle parole perché, finché, poiché, alcunché, benché, sé (es.: sé stesso), (es.: né l'uno né l'altro), poté, combatté e trentatré l'accento è acuto. E' errore scriverlo in modo diverso. Sulle parole come cioè, tè, è, caffè, piè, ahimè, Mosè, invece, l'accento è grave.  
  • L'accento si usa su (giorno), lì, là, dà (III persona del verbo dare) e (affermazione).
  • La parola E' va scritta con l'accento grave, non con l'apostrofo (io lo faccio perché qui sul blog non ho altro modo)
  • L'accento tonico non si indica mai, a meno che non sia di fondamentale importanza per comprendere il significato di una certa parola, ad esempio con princìpi e prìncipi. 
  • L'apostrofo, invece, si usa solo con da' (imperativo di dare), di' (imperativo di dire), fa' (imperativo di fare), to' (imperativo di tenere), va' (imperativo di andare), po' (abbreviazione di poco) e mo' (abbreviazione di modo). L'apostrofo, inoltre, si mette davanti alle abbreviazioni delle date, per esempio '800 per dire 1800. Importante: tal e qual non si apostrofano mai! (quindi si scrive qual è, tal è). 
  • Va' sempre mantenuta la concordanza soggetto-verbo, cosa che, purtroppo, al giorno d'oggi sembra essere molto difficile da fare. Per esempio, con "un migliaio di persone", il soggetto è "migliaio", non "persone"!!! Quindi si scrive "Un migliaio di persone è uscito da quel locale", e non "Un migliaio di persone sono uscite da quel locale". Chiaro? 
  • Nella lingua italiana i termini stranieri non hanno plurale. Quindi si dice "i film", non "i films".
  • L'unica parola con la doppia Q è soqquadro. Tutti i derivati di acqua presentano il CQ e tutti i derivati di scienza il SCIE. 
  • Errore molto comune da evitare: avessi è diverso da avesti!!! Il primo è condizionale (se lo avessi potrei fare qualsiasi cosa/se lo avessi potresti fare qualsiasi cosa), mentre il secondo è un passato remoto, ed è solo alla II persona singolare (tu lo avesti, fosti in grado di fare qualsiasi cosa).
  • Non si mette mai, e sottolineo mai, la virgola tra soggetto e verbo (es.: il puffo, è un gelato)
  • Infine, cosa che a volte mi viene contestata ma per la quale continuerò a battermi con le unghie e con i denti: la H iniziale, in italiano, è muta. E quindi sì, ci vuole l'apostrofo come se fosse una vocale. Quindi sarebbe corretto L'Hobbit e non Lo Hobbit, a meno che non vogliamo concedere una licenza poetica. 

Ecco qui, speriamo che questo specchietto possa servirvi. A me serve, per esempio. Spesso può capitare di avere dubbi. Venire a consultarlo non vuole affatto dire non sapere l'italiano, vuol dire semplicemente che non apriamo un libro di grammatica da un po' e che quindi abbiamo bisogno di una ripassata.
Ora, invece, precipitevolissimevolmente (non chiedetemi da dove mi sia uscito questo avverbio) e senza ulteriori indugi, andiamo a vedere le regole redazionali grafiche. Vi ricordo che alcune preferenze sono sempre a discrezione della casa editrice, ma, di norma, queste regole sono riconosciute.

  • i discorsi diretti si scrivono tra virgolette caporali, ovvero quelle basse << e >> . In alternativa, si possono usare anche i trattini - (lunghi o medi, quelli corti solo per giustificare).
  • i pensieri o le citazioni all'interno di discorsi diretti si scrivono tra apici " e "
  • sempre tra apici vanno le parole che esprimono ironia (es.: quei "poveri" canadesi), le parole che esprimono un'idea particolare (es.: filosofia del "bello"), le parole riportate direttamente da un testo, le parole cui vogliamo dare enfasi, che si possono scrivere anche in corsivo.
  • il grassetto non si usa mai!
  • il corsivo si usa per dare enfasi a una parola, esprimere un pensiero al posto di usare gli apici, i titoli dei libri, volendo anche le parole straniere.
  • qualsiasi segno di interpunzione, salvo le parentesi, è attaccato alla parola che precede, ma staccato con una spazio da quella che segue (es.: io, robot)
  • non si usa il punto fermo alla fine dei titoli
  • l'iniziale maiuscola si usa ogni volta dopo un punto fermo, con i nomi propri (mai con i nomi comuni), con gli acrostici.
  • i numeri, solitamente, vanno scritti in lettere, a meno che non si tratti di date. Usano i numeri romani solo i secoli, i nomi dei papi ecc.  

Finito. Ribadisco che non sono regole da seguire tassativamente (io per esempio nei discorsi diretti utilizzo gli apici e non le caporali). Però ad un editore può far piacere ricevere un testo che segue già le sue regole redazionali. Quindi, ad esempio, se inviate a Feltrinelli e vi accorgete che spesso usa i trattini per i discorsi diretti, usateli anche voi. Non vi costa nulla, potete anche cambiarli con un solo gesto utilizzando su word "trova e sostituisci", come penso anche su tutti gli altri editor di testo.
Arrivederci a tutti, ci vediamo al prossimo post! 

giovedì 19 gennaio 2012

Le papere di Bath

Sicuramente è capitato a tutti... di vedere le papere di Bath, intendo? O di essere una papera di Bath? No, no, per carità... volevo dire, sicuramente vi è capitato, almeno una volta nella vita, di trovarvi in uno stato di limitatissime capacità intellettive, oserei dire in stato vegetativo; e, proprio in quel momento, di sentire le porte del vostro cervello aprirsi, illuminando e rinfrescando mente e animo della risoluzione a tutti i vostri problemi. E sicuramente vi sarete sentiti degli emeriti imbecilli: come aveva fatto una soluzione tanto semplice a sfuggirvi per così tanto tempo? E, soprattutto, come ha fatto a venirvi in mente proprio in un momento di tale degrado cerebrale? Evidentemente l'unico neurone che lavorava, lavorava bene. Almeno lui.
Ebbene, questo mi è capitato due anni fa, a Bath, appunto, ridente cittadina inglese, a poche centinaia di chilometri da Londra. Intendiamoci, mi era capitato altre volte; ma mai in maniera così improvvisa, e mai in una situazione così... non saprei come altro definirla, se non assurda.
Ebbene, dicevo, mi trovavo in Bath. Luglio. Giornata soleggiata, stranamente, anche se tirava una brezza un po' troppo eccessiva, fastidiosa... più o meno della temperatura da cui si viene investiti quando si apre il frigorifero. A Luglio. Già. Ma almeno non pioveva.
Me ne stavo tranquillamente seduta su una panchina, di fronte al laghetto, quello al centro dell'enorme terreno posseduto dalla University of Bath. Ero con due mie amiche, si era appena finito di discorrere di letteratura, filosofia, scrittura. Almeno una decina di minuti prima, però, il discorso era deviato in tutt'altro, facendosi anche decisamente meno acculturato. E, parlando, guardavo le papere nel laghetto.
Un momento di silenzio. Cervello in panne. Le palle degli occhi seguivano ancora le papere, sì, ma giusto per inerzia, senza un reale controllo. E in quel momento, BANG. E' stato come se mi avessero infilato il cervello in quell'istante, premendo il tasto "on". Tutto è apparso così, all'improvviso: il finale e il titolo del mio libro. Cose a cui pensavo da mesi, se non anni. Ed era tutto così mortalmente semplice che la prima cosa che mi sono chiesta è stata appunto: "ma come accidenti ho fatto a non pensarci prima?"
Sì, proprio come in quei film Americani in cui il protagonista, invischiato in un problema di sicurezza nazionale/mondiale/universale,  verso i 3/4 della pellicola ha il grande colpo di genio, che poi risolverà tutto il problema.
L'unica differenza è che in quei film di solito è qualcun'altro che dà l'idea al protagonista. Magari un interlocutore che, per caso, pronuncia proprio la parola che serviva, sentendosi poi dire, apparentemente senza motivo, "sei un fottutissimo genio!" dal protagonista stesso; il quale parte di corsa a preparare chissà quale congegno salva-umanità, mentre lo sventurato interlocutore chiede spiegazioni, invano.
Io, invece, ho avuto l'ispirazione dell'ultimo minuto da delle papere, intente semplicemente a starnazzare e ad abbuffarsi senza pudore del pane buttatogli in acqua da qualche misericordiosa signora d'alta classe inglese.
Dopo un primo momento di inquietudine, in cui ero semplicemente intenta a chiedermi cosa avessero quelle papere di così magico, ovviamente mi sono messa a scrivere su tutto ciò che mi capitava a tiro, persino i palmi delle mani. E tutto così velocemente, nella paura di avere un improvviso colpo di amnesia che mi portasse via l'idea, così come era venuta, da mandare quasi in cancrena le dita, e da farmi riaffiorare il callo del liceale, ormai assopito da quasi due mesi, in meno di 5 minuti.
Quanto ho ringraziato quelle papere! Avrei voluto raccoglierle tutte, grandi e piccine, metterle in valigia e portarle a casa. Tutto ciò che mi ha fermato, ve lo giuro, è stato il pensiero che si sarebbero trovate male da me, non conoscendo la lingua Italiana ed essendo io poco in vena di preparare il tè tutte le sere.

Ecco dimostrato, quindi, come l'ispirazione segua strade all'uomo del tutto sconosciute e imprevedibili. E come anche le papere, nel loro piccolo, siano esseri incredibilmente utili.

venerdì 13 gennaio 2012

Lezione 4 - Impaginazione

Nella lezione precedente vi ho parlato delle pagine che vanno o, comunque, andrebbero scritte per completare un capitolo, parte di un romanzo o di qualcosa di ancora più corposo. Sono stata volutamente laconica riguardo l'argomento, e qualcuno me lo ha anche fatto crudelmente notare (Anonimo, ndr. Tranquillo, ancora non sei riuscito a destare la mia ira. Impegnati di più). E perché ho fatto questo? Per guadagnare tempo e spazio e dedicare un'intera lezione all'impaginazione.
Dunque, cominciamo. Sarò franca: sono mesi e mesi che cerco un modello base, se così possiamo chiamarlo, per impaginare meglio un libro o una tesi, o comunque qualsiasi cosa che richieda un minimo di presentabilità; ebbene, non ho trovato nulla. O meglio, ci sono alcune regole generali, che non tarderò ad illustrarvi, ma alcune caratteristiche seguono le pure preferenze dell'editore.
Ma cominciamo con ciò che possiamo fare noi:

  1. Prima regola e più importante: dovete fare tutto, come al solito, all'insegna della semplicità e della chiarezza. Quindi, qualsiasi editor di testo usiate, evitate caratteri strani, arzigogolati, impossibili da decifrare. Usate i soliti: Times New Roman , Arial, Calibri etc.
  2. Spesso gli editori gradiscono anche avere un minimo di interlinea (spaziatura verticale), per appuntare note,  correzioni... sarebbe consigliabile, quindi, almeno nella copia da inviare ad un editore, lasciare almeno un punto/un punto e mezzo di interlinea. 
  3. Scrivendo i titoli di un capitolo, anche qui, non si esagera mai con la semplicità. Titolo in grassetto, con un corpo maggiore del testo, ma nient'altro. Evitate di scrivere: "Capitolo 1 - Pincopallo e Pallopinco". Basta semplicemente: "Pincopallo e Pallopinco". Insomma, tutto ciò che potete togliere, toglietelo! Inoltre, non c'è necessariamente bisogno di usare un font diverso da quello del testo. 
  4. Ricordatevi di inserire i numeri di pagina, e di lasciare le pagine bianche dove necessario (ad esempio dietro il titolo del libro, per far sì che, dopo la stampa in modalità fronte-retro, non si sovrappongano sulla stessa pagina titolo e testo vero e proprio).
  5. Il corpo del testo non deve essere eccessivamente grande, ma nemmeno così piccolo da impedire la lettura scorrevole. Quindi consiglio una media per la grandezza dei caratteri, che oscilla tra il copro 12 e 16 a vostro piacimento. 

Vi ricordo che tutto queste regole non sono da seguire obbligatoriamente. Io, ad esempio, non condivido appieno quest'idea di semplicità portata all'estremo (come il punto 4), gradisco abbellire, almeno un minimo, i miei lavori. Ma molti sono dell'idea che agli editori questo possa sembrare atto di presunzione, un lavoro che, insomma, dovrebbero fare loro... Ad ogni modo, a voi la scelta. In effetti, sotto un certo punto di vista, è più facile fare annotazioni dove c'è spazio per scrivere e, inoltre, caso mai dovessero accettare la pubblicazione, avranno già materiale su cui lavorare per editare il vostro libro, senza dover riscrivere tutto daccapo o fare troppe modifiche.
Qualunque sia la strada che scegliete di intraprendere, comunque, il mio consiglio personale è quello di non sprecarsi troppo per elaborare i margini da lasciare tra il bordo della pagina e il testo scritto: ho visto che variano molto a seconda della casa editrice. Quindi lasciate perdere, ci penseranno loro (a meno che non richiedano misure specifiche al momento dell'invio).
Infine, vorrei illuminare quelli di voi che non lo sanno sul significato del termine "cartella": ebbene, la cartella è l'unità di misura editoriale, e corrisponde a circa 1800/2000 caratteri, possibilmente battuti in 30 righe di testo (considerato che una riga contiene circa 60 battute). Se utilizzate questo tipo di impaginazione, quindi, non vi dovete nemmeno sprecare a cercare i margini, perché sono automatici nell'editor di testo. A questo proposito, vi lascio anche questo link, che sicuramente, se usate Microsoft Word, potrete gradire.
Come impostare l'impaginazione di Word in Cartelle
Arrivederci a tutti. Nella prossima lezione parleremo delle regole redazionali, ovvero tutto ciò che si può e non si può scrivere, a livello grammaticale ma anche puramente formale. 

giovedì 5 gennaio 2012

Lezione 3 - Il ritmo.

Alle volte siamo indecisi sul ritmo narrativo da tenere mentre scriviamo. A volte ci reputiamo troppo lenti, altre volte troppo veloci. A volte troppo particolareggiati, a volte troppo superficiali. Ma quindi, chi decide il ritmo narrativo?
Diciamo che il ritmo è, forse, la parte più personale di un'opera. Ci sono scrittori che amano le lunghissime prefazioni, come Eco, e altri che cominciano subito con la trama concitata, mantenendo un ritmo serrato per tutto il libro, come Crichton o Manfredi. Cosa è meglio?
Bene, ricordando la regola principale del "non annoiare", possiamo dire che, per raggiungere un pubblico più vasto e per avere più possibilità di essere letti, a fini puramente editoriali è meglio mantenere un ritmo veloce. Detto ciò, però, non voglio essere fraintesa: una trama troppo veloce non piace a nessuno, né agli editori né ai lettori, come non piace una trama troppo particolareggiata. Sarebbe quindi un bene se si riuscisse a livellare il tutto. Cioè, a mio parere, l'ideale è una trama che non annoia, e che quindi sorvola su tutto ciò che non è importante a fini narrativi, ma che sulle parti clou si sofferma, e anche in maniera piuttosto dettagliata.
Vero è, però, che la prolissità è un problema di più facile risoluzione rispetto alla superficialità. E', infatti, molto più semplice depennare piuttosto che aggiungere. Pertanto, se soffrite di superficialità, non vi mentirò, è più grave. Ma ciò non significa che non potete risolvere il problema.
Dunque, il consiglio generale è semplice: esitate, temporeggiate. Sapete come si dice, no? Melius abundare quam deficere. E quindi... abundate! Mettetevi sempre nell'ottica di mantenere un ritmo non troppo noioso. Ma se siete nel dubbio, rimanendo nei limiti, abbondate! Farete sempre in tempo a togliere.
E ora il consiglio un po' più tecnico: fareste bene, almeno dopo ogni capitolo, a rileggere ciò che avete scritto. Ma subito, quando siete ancora freschi. Questo vi permetterà di farvi un'idea generale e subitanea di come avete scritto. E di solito ciò che pensate voi è proprio quello che poi andranno a pensare i lettori: in fondo anche voi, prima che scrittori, siete lettori. Quindi è assolutamente necessario che siate sinceri con voi stessi e che vi poniate questa semplice domanda: a me piace? Se la risposta è sì, quasi sicuramente vuol dire che avete fatto un bel lavoro, quindi lasciate stare il capitolo; lo riprenderete fra qualche settimana, o anche fra qualche mese, e vi riporrete la solita domanda. Se invece avete dei dubbi, significa che qualcosa che non va c'è, e dovete trovarlo! Allora cominciate a mettervi nei panni di un lettore: cosa vorreste da quel capitolo? Cosa vi aspettereste? Basta un momento di concentrazione per capire cosa avete scritto di troppo e cosa, invece, dovrebbe essere più particolareggiato. Quando avrete trovato i difetti, riscrivete e tornate a leggere, ricominciando daccapo ogni volta che qualcosa in quel pezzo non vi torna.
Ci tengo a ribadire, però, che bisogna essere assolutamente sinceri con sé stessi! Non troppo permissivi, altrimenti il vostro lavoro saprà di poco curato, ma nemmeno troppo severi, altrimenti si rischia di non finire più con le correzioni. Quindi, se sinceramente credete di aver fatto qualcosa di buono, ripeto, LASCIATE STARE. Vuol dire che va bene così. Questo è un lavoro creativo, e deve piacere a voi in primis. Lo ricontrollerete fra tanto tempo, in modo da trovare quegli errori che ora non vedete, e solo allora farete una correzione.
Quindi, la lezione di oggi è questa: se sapete di essere troppo superficiali quando scrivete, abbondate. E quando correggete, la parola d'ordine è la totale e cruda sincerità. Voi sapete già tutto ciò che dovete sapere per capire se il vostro libro sarà o meno un buon lavoro, senza che ci sia la necessità di chiedere ad altri. Questo può aiutare, certo, ma per ora impegnatevi da soli, fate un'analisi schietta di voi stessi, e allora, solo allora, migliorerete.

Infine, qualche cifra per farvi meglio orientare: un libro comincia ad essere tale tra le 150 e le 200 pagine. Medio tra le 200 e le 400. Da qui in poi si può tranquillamente parlare di librone. Un capitolo, invece (e qui vi parlo di preferenze personali), dovrebbe essere di almeno una decina di pagine. Nella prossima lezione, i consigli per l'impaginazione!

mercoledì 4 gennaio 2012

Storia mediocre di un drammatico iter telefonico.

Il titolo chilometrico dovrebbe già mettervi in guardia. Ma ecco che, senza ulteriori esitazioni, andiamo ad iniziare il nostro iter. Tutti pronti? Sappiate che non potrete tornare indietro.

Stamane, alle ore 10.35, si è tenuto un vero e proprio dramma in casa mia. Ma più o meno è un dramma comune, che tutti vivono almeno una volta nella vita. Per questo si intitola "storia mediocre", perché sicuramente molti di voi l'hanno già vissuta.
Dunque, dopo tre giorni di contrattazione per presentare alla segreteria scolastica il preventivo per la gita di maturità, finalmente, ieri sono riuscita a parlare con un irraggiungibile Sig. Preside (da me chiamato Gargamella, a causa di ovvie affinità fisiche). Costui mi ascolta (quasi) con interesse e mi chiede di richiamarlo, oggi, con più informazioni. Mi specifica che è urgente e che NON POSSO MANCARE al nostro appuntamento telefonico. Ringrazio, piena di gioia, credendo di aver raggiunto un bel traguardo.
Successivamente, mi ammazzo di lavoro e spendo l'intera busta paga di mio padre in telefonate. Prima di tutti contatto uno dei professori che, poverino, mentre si decide della nostra gita è a sciare, e scopro che la sua copia del maledetto preventivo è a casa. La quale casa è chiusa e sigillata. E il preventivo mi serve per il giorno dopo. Bene!
Non mi arrendo, contatto un genitore che a sua volta contatta l'agenzia per farci un nuovo preventivo. Nel frattempo, telefono a mezzo mondo per avere anche io il numero dell'agenzia. Non lo trovo, ma per fortuna mi arriva lo stesso per email il suddetto preventivo. Peccato che è un file stranissimo diviso in quattro, e quando tento di aprirlo mi si para davanti una lunghissima scritta in ostrogoto.
Contatto il mio ragazzo, informatico, e gli chiedo di risolvere. Viene a casa, risolve, e io riprendo il mio iter.
Ora ho il preventivo, devo solo informare TUTTA LA CLASSE che sta andando in porto la nostra proposta, ma per fortuna in questo mi aiutano delle vere anime pie e San Facebook.
Finalmente, per quel giorno, ho concluso (salvo un'altra mail che devo inviare e che mi costa altre telefonate, ma nulla di riconducibile a Gargamella o al preventivo).
E ora, comincia la vera tragedia.

Torniamo alle ore 10.35 di stamane. Afferro, decisa, il telefono. Cerco nella lista delle chiamate il numero della segreteria. E infine lo premo. Sì, lo premo: il tasto "call".
Non l'avessi mai fatto! Ancora non sapevo che questo semplice gesto mi avrebbe portato alla follia più assoluta. Per ora, infatti, c'era solo il tut tut del telefono, e poco dopo la risposta automatica. Una vocina femminile mi dice che il personale è al momento occupato, accompagnata da una musichetta di Mozart... o di Beethoven. Insomma, quel genere.
Mentre sto pensando a quale compositore sia, mi risponde una bidella. Scusate, scusate... personale ATA. Adesso si chiamano così, e reputano offensivo il termine "bidello". Chissà poi perché!
"Pronto?"
"Salve, sono la rappresentante della classe 5 A scientifico"
"Che vuole?"
Ha un simpatico accento del sud.
"Devo parlare col preside, mi è stato detto di chiamare oggi"
"Sì, ma perché?"
La storia è lunga. Decido di spiegare, ma di abbreviare. Ciononostante, spreco almeno 3 minuti di chiamata, alla fine dei quali...
"Aspetti, le passo la vicepreside!"
"No, no! A me serve il pres..."
"Pronto?"
Riconosco la voce della vice. Impreco nella mia mente.
"Salve, sono la rappresentante della 5 A scientifico. Devo parlare col preside, mi è stato detto di chiamare oggi"
L'interlocutrice esita, e per un momento guardo lo schermo del telefono per sapere se è caduta la linea. Poi, improvvisamente, torna e quasi mi urla nell'orecchio:
"Ma... al momento... perché non dici a me?"
Già il fatto che mi da del tu un po' mi altera, ma ingoio il rospo. Ricomincio la mia spiegazione.
"La mia classe bla bla bla... il preventivo bla bla bla... riunione bla bla bla...  - dopo due ore di monolgo - Ha capito?"
La donna esita ancora, io mi preoccupo seriamente per i suoi collegamenti neurali.
"Ma io... di queste cose non so..."
"Mi scusi, ma lei è la vicepreside, no? Dovrebbe saperlo. In ogni caso, si può parlare con il preside o no?"
"Ma, al momento... le passo la Signora Claudia!"
NO! LA SIGNORA CLAUDIA NO!
Ora, voi non sapete chi sia, ma vi assicuro che è una persona molto irritante. Parlare con lei significa iniziare una guerra nucleare. E' acida quanto un limone marcio, ed è dir poco. Io, purtroppo, ho dovuto rapportarmi con lei in più di un'occasione e, unendo il suo atteggiamento insopportabile e la mia smodata irascibilità, abbiamo sempre dato vita a grandi diverbi. Ma ormai è troppo tardi per rimediare:
"Pronto!"
Col timpano ormai perduto, chiedo, affranta:
"La Signora Claudia?"
E il bello è che sembra non avere un cognome nè un ruolo in questa scuola, la Signora Claudia. Boh.
"Sì? Che c'è?"
La solita voce irritante. E io metto in scena il solito discorso precotto. Tanto ormai la busta paga è andata a signorine, posso permettermi di ripetere tutto d'accapo.
"Salve sono la rappresentante bla bla bla... preventivo bla bla bla... però devo parlare col preside, è inutile che continuate a giocare a scarica barile!"
"Io non so niente e adesso il preside non c'è! Vieni tu di persona lunedì! C'era proprio bisogno di chiamare oggi?"
"E' stato lui a dirmi di chiamare oggi, mica me lo sono inventato"
"Sicuramente ti stai sbagliando!"
Ormai mi esce il fumo dalle orecchie.
"No, non mi sto sbagliando, non sono così imbecille!"
"Non può averti detto di chiamare oggi perché il mercoledì è il suo giorno libero!"
Ma allora... ci sono o ci fanno? Rimango silenziosamente esterrefatta.
"Va bene - cerco di trattenere la rabbia - va bene. Allora arrivederci!"
"Eh, ciao!"
Riattacco, quasi spaccando il tastino di "termina chiamata".
"MA CIAO A TUA SORELLA!" grido.
Ciò che segue ve lo risparmio: mia madre entra in camera e mi chiede se sto bene, la rassicuro, poi comincio a informare la classe a proposito dell'incompetenza di quelli che dovrebbero essere i nostri insegnanti. E vi risparmio anche tutte le motivazioni che hanno fatto quasi saltare la nostra gita di maturità, ma vi garantisco che sono tutte dovute alla poca organizzazione del personale scolastico.
Ma allora mi chiedo: al posto di spendere soldi e impegnarsi per le musichette di attesa telefonica, perché diamine non assumete persone con tutte le rotelle a posto?
Vabbè, dopo questo piccolo racconto, dopo essere stata piantata dal Gargamella in persona, e dopo la mia piccola imprecazione contro la scuola pubblica italiana, mi ritiro. E lo faccio con un esito finale: 156 minuti di chiamata in 48 misere ore.
Tanto pago io.

Lezione 2 - Il titolo.

Il titolo è la prima cosa che si legge, e quindi la prima che attrae o respinge. Dobbiamo sempre rimanere nell'ottica che il lettore è superficiale. Sì, superficiale. E dobbiamo sempre ricordarci che avrebbe molto di meglio da fare che leggere il nostro lavoro. Chiaro? Immaginatevi la scena: un lettore (uomo donna, giovane o vecchio non importa) si reca, per esempio, in una libreria dopo il lavoro. E' stressato, stanco, e tutto ciò che vorrebbe fare è andare a casa, farsi una doccia e dormire. Invece viene lì, con la speranza di trovare un nuovo libro da leggere nel tempo libero, possibilmente senza fare fatica. Ciò ovviamente non accade: ci sono migliaia di libri, centinaia solo nella sezione che interessa. Secondo voi, questo personaggio ha tempo e voglia di mettersi a leggere il retro copertina per capire la trama di ogni libro? Ovviamente no. Anche i più volenterosi, magari inconsciamente, operano una cernita: leggono la trama del libro con il miglior titolo e la migliore copertina. E il vostro libro potrebbe essere il più bello del mondo, ma se lo intitolate Il mistero di Pincopallo, è ovvio che rimarrà sommerso sotto il cumulo di tutti gli altri libri.
Ora, della copertina non vi dovete preoccupare, ci penserà l'editore. Ma potete trovare un titolo accattivante e fuori dal comune, questo sì. Ma come si fa?
Ecco, qui il discorso comincia a farsi complicato. In realtà non c'è una regola precisa: bisognerebbe trovare una parola che incuriosisce, magari che si usa poco nella lingua parlata. Oppure qualcosa che "lasci in sospeso" qualcosa che si vorrebbe leggere nel libro. O, ancora, qualcosa di incomprensibile, che si spera di poter comprendere leggendo (a questo mi viene in aiuto "Il nome della rosa" di U.Eco. Concorderete con me che è un titolo tutt'altro che scontato, e attira l'attenzione). Vedete come, quindi, sia assai difficile esprimere il "come dovrebbe essere" il titolo di un libro. Tutto ciò che posso dirvi, è che bisogna categoricamente evitare ciò che tutti sappiamo essere scontato. Formule come Il mistero di..., La leggenda di..., Le cronache di... e simili sono esempi lampanti di ciò che NON si deve fare. Per il resto, sforzate la vostra fantasia! Più troverete qualcosa di insolito ed esotico, più avrete possibilità di emergere dalla massa.

Per concludere, un piccolo consiglio: superata la soglia "primo impatto", cioè dopo che il lettore ha comprato il vostro libro, distintosi dalla massa, sarebbe opportuno non deludere le aspettative. Se, quindi, quel titolo esotico e accattivante si spiega alla prima pagina, questo perde subito tutta la sua efficacia, non trovate? Mantenete la suspance anche per il titolo. Spiegatelo solo alla fine, o non spiegatelo proprio, se non in qualche appendice o nei ringraziamenti. Personalmente, amo molto i titoli che si spiegano tutti con la fatidica "frase finale ad effetto" (e qui ci ricolleghiamo alla lezione 1). Insomma, la lezione di oggi si può riassumere con: NON SIATE SCONTATI! Originalità è la parola d'ordine!

martedì 3 gennaio 2012

Il sonno porta consiglio.

Già. Un proverbio che merita di essere ricordato. Perché posso giurarlo: per me è così davvero! E, da ciò che ho potuto sentire, lo è anche per molti altri scrittori. Allora mi sono chiesta il motivo: perché le idee mi vengono tutte di notte? Di solito prima di addormentarmi, quando sono sommersa sotto 10 quintali di piumone e il cervello vaga senza ordine.
Ah, quanto amo la dormiveglia! Sono quei momenti in cui sei ancora abbastanza cosciente da dare giudizi semi-razionali, ma ti ritrovi anche abbastanza addormentato da non avere alcun tabù, alcuna restrizione a proposito di quello che ti salta in mente. I pensieri sono così liberi che ti possono venire idee geniali, assurde, pazzesche e brillanti tutte in una volta sola. Sono quei momenti in cui parli sinceramente con te stesso, in cui ricordi la giornata e la mescoli con la fantasia. E non hai bisogno di punirti se, per caso, pensi a qualcosa che da sveglio non avresti mai potuto nemmeno lontanamente immaginare.
Beh, a me in quei momenti vengono molte delle mie idee. Il problema poi è ricordarsele la mattina seguente e, soprattutto, riordinarle, eliminando ciò che è decisamente poco consono e tenendo ciò che ha un potenziale.
Comunque non parlo solo della dormiveglia. Parlo anche di quando si è svegli normalmente, di notte, e si è davanti al pc, come ora nel mio caso. Le idee sono più spontanee, davvero, e a questo non ho ancora saputo dare una spiegazione. Forse perché è pressoché l'unico momento della giornata in cui ci ritroviamo da soli, senza nessuno che ci interrompa, senza il lavoro a cui pensare? O forse perché abbiamo talmente impegnato il cervello durante la giornata, che ora è esso stesso ad "obbligarsi" ad evadere, per avere una meritata pausa?
Mah, non lo so per certo. Quello che so è che, se fosse per me, io dedicherei una parte delle ore serali alla scrittura. Peccato che spesso, troppo spesso, il sonno abbia la meglio.

Lezione 1 - Le ultime parole famose.

Io ho una teoria: la gente, chiamata ad ascoltare qualcun'altro portare avanti un lungo discorso, in realtà non lo fa. O meglio, lo fa, ma ciò che si ricorda, almeno a breve termine, non è l'intero discorso. E' solo la frase finale.
Questo può accadere in tutti gli ambiti: un'interrogazione a scuola, un colloquio di lavoro, una riunione, una campagna elettorale... e sì, anche in un libro. O un racconto. O un saggio. Insomma, questo è un meccanismo che attuano anche i lettori. Ci si ricorda SEMPRE dell'ultima frase che si è letta. E, se si deve dare un giudizio, il primo, quello più superficiale, non è del libro intero, o dell'intero discorso, ma solo di quest'ultima frase. Ecco perché è molto più probabile ricevere un bel voto all'esame orale se si risponde bene all'ultima domanda, ecco perché un libro o un racconto piacciono se finiscono con una morale o un colpo di scena inaspettato.
Ma perchè accade ciò? Beh, per due semplici motivi:

  1. Il cervello umano è estremamente lento e "di parte". Se gradisce ciò che gli viene detto in dato momento, non si ricorda più del resto, e se deve dare un resoconto subitaneo, tende a collegare l'intero discorso all'ultima parte che ha letto o ascoltato. Ovviamente ad una seconda lettura, o anche dopo qualche minuto di ragionamento, questo non accade più. Ma la prima impressione è quella che conta, quella che ti colpisce. 
  2. La gente, soprattutto se si tratta di qualcosa di scritto, come un romanzo, si aspetta SEMPRE un bel finale. Se riuscite a farlo bello, non importa quanto scontato, ma BELLO, e se accompagnate il tutto con uno stile che non annoia, allora avete conquistato il lettore.

Ecco, ovviamente ho collegato il discorso dell'ultima frase ai racconti e ai romanzi, perché in fondo è questo che ci interessa. Quindi posso dirvi che davvero, spesso (non sempre) non importa l'idea, ma importa il "come" viene raccontata. Guardate solo quanto cambia la divina commedia raccontata da Benigni, invece che da un professore. 
Pertanto, riassumendo, volete avere successo o, perlomeno, volete avere la possibilità di essere presi in minima considerazione da un editore? Allora non annoiate! Periodi brevi, non troppo elaborati, dialoghi incalzanti e molto intuitivi. E, soprattutto, puntate tutto sull'ultima frase! Il modo migliore per farlo è tenere un mistero, un segreto, una morale del tutto irrisolta fino all'ultima riga, nel caso di un racconto breve, o dell'ultima pagina, nel caso di un romanzo abbastanza corposo. Di quello si ricorderà il lettore, garantito.

Piccolo consiglio: il meccanismo della "frase finale" è perfetto anche per i finali di capitolo e, perché no, anche di paragrafo!


- Questa lezione è anche in video! Guardatela QUI -



lunedì 2 gennaio 2012

Il mio nuovo blog!

Salve, lettori! Finalmente ho preso la mia decisione: ho creato il mio tanto agognato blog. E l'ho fatto principalmente per tre semplicissimi motivi:

  1. Attraverso un periodo difficile e di scarsa ispirazione. Spero che tenere in allenamento la mia scrittura mediante un blog da aggiornare sia un buon metodo per non rimanere del tutto inerme e statica, in questi tempi impegnativi che mi privano del tempo libero.
  2. Filantropia: voglio rendere partecipi tutti delle soluzioni stilistiche che ho trovato per risolvere certe "gatte da pelare" tipiche di chi scrive. Quindi mi rendo disponibile a dare consigli, a risolvere domande, sia di natura tecnica che d'opinione. 
  3. Cercare di farmi notare. Ebbene sì, mi darete dell'egoista... d'accordo, allora sono egoista. Ma la "fama" passa anche per queste vie e, caso mai dovessi riuscire ad essere pubblicata, non si sa mai che qualcuno di voi possa ricavarne qualche utile consiglio!
Che dire? Posso presentarmi, forse... Dunque, sul web sono conosciuta come Arte, da qui il titolo del blog, ma il mio vero nome è Giulia. Sono molto, probabilmente troppo giovane: mi rendo conto che a soli 18 anni ho ancora molto da imparare. Ma sono anche una persona che sa riconoscere i propri punti deboli e i propri cavalli di battaglia: ebbene, la scrittura è il mio cavallo di battaglia. Ne sono sicura. 
Con questo non dico affatto di non fare errori: magari fosse così! Ho molto da migliorarmi, certamente, e forse questo blog sarà anche un buon strumento, per questo fine. Ma il mio impegno è costante, e di questo sono fiera.
Nel mio tempo libero amo leggere, tutti i generi, ovviamente scrivere, uscire con gli amici... le solite cose, insomma. E sì, ho scritto un libro. Fantasy, per la precisione. Ebbene, non fatevi ingannare: a dire la verità amo tutti i generi e scrivo di tutto. Ho scritto per primo un fantasy semplicemente perché la storia mi aveva appassionato e perché, con tutta probabilità, a quel livello di cultura e capacità e, soprattutto, vista la mia giovane età, era il genere che più mi calzava. Detto ciò, non aspettatevi il SOLITO fantasy, perché a me, come imparerete presto, piace molto trasmettere morali e analizzare la psicologia dei personaggi in maniera approfondita e precisa. Niente magia, niente imprese irrealizzabili: tutto è all'insegna della verosimiglianza (sia lode a Manzoni). E, soprattutto, chi lo dice che alla fine il "KaTtiVo KattIViSsImO" deve per forza perdere?
Insomma, come ormai avrete capito, sono una persona coi piedi per terra. E quindi amo i fantasy e i libri in generale, con i piedi per terra. Troppo razionale, forse? Possibile. Ma io mi piaccio così. 
Che dire ancora? Spero che questo blog possa interessarvi e spero, davvero, di poter essere utile a qualcuno (a questo scopo lascio anche la mia email privata).
Semper fidelis.